All’ombra della anofele
Decisi di fare il medico solitario , dormivo protetto dalla zanzariera, dagli insetticidi, dalla clorochina, fu lì che incontrai una femmina bellissima sinuosa erotica prima nel sonno durante uno dei pochi sogni appaganti poi vivace anofele infetta. Fui colpito da tremori mal di testa che subito attribuii al senso di colpa per i sogni erotici poi fu febbre devastante, la giovane anofele mi aveva iniettato il suo vigore troppo forte per me sotto forma di plasmodium che dopo aver vagato in vari miei organi si era fermato nel teatro del cervello come spettatore curioso. Mi sentii isolato, non era neppure così male, faticavo un poco a capire quello che mi succedeva intorno, mi teneva informato l’anofele interprete dei miei desideri, anche lei soffriva di vertigine quando qualcuno dal di fuori decideva di interrompere il nostro sodalizio, sembrava che soffrisse molto di ciò e io di conseguenza mi sentivo rattristato. Ero in letargo febbrile, non una esperienza di tutti i giorni, riposo estremo nessun senso di colpa, giorno notte uguali non turbati, il divertimento era tutto in quel teatrino dove a turno io e l’anofele eravamo attore e spettatore. Ebbene disse l’anofele, Io sono scheggia di teatro recito per te … Come si può essere amati da un insetto eppure mi parlava come mi amasse anche se mi aveva iniettato il suo parassita. Non era in fondo un grosso problema entrambi vivevano nella mia testa o per lo meno così mi sembrava. La cosa che più colpiva era la sensazione di avere un minatore dentro dove l’anofele era l’operaio il plasmodio la piccozza e che stessero scavando dentro i miei ricordi le mie passioni i miei vizi i piaceri le esperienze, insomma tutto quello che mi faceva uomo. Crebbe in me la forza della cantilena silenziosa del giorno su giorno che attivava la fine lama della noia, falciava l’ovvio e mi faceva desiderare la febbre, sentivo il freddo della notte che apriva un varco di inquietudine, come non sapevo, ero solo e mi amavo in un autoerotismo che mi penetrava e spaventava, pura poesia o solo febbre fantastica instabile ? Fuori voci dalla savana si confondono con la mia che mi scende giù giù dentro fino in fondo alle mie preghiere e mi fa paura ora muta. La suora mi dissetava asciugava il sudore io lottavo con lei nel delirio, la mia anima senza un fine libera la cercava, è il seno della suora né bianco ma neppure troppo nero che cercavo forse per un futuro. Il plasmodio pensò che l’uomo abbia in se il desiderio di soffrire per una donna. Osservavo il mondo con gli occhi del parassita e mi pareva di diventare ogni giorno più saggio, ogni tanto la melanconia si faceva sentire, può l’anofele ammalarsi di melanconia, talvolta mi crucciavo così.
Ma che tragedia in fondo è questa ! ? Le suore con i profumi di cucina, riso e antilope, mi fanno contento. Vaneggiavo quando il medico cubano decise di trasferirmi, troppo sarebbe stato per lui se fossi morto lì, vaneggiavo una terribile morte lontano casa eppure era una morte piena di coraggio. La suora mi tagliò i capelli, la barba, mi lavò la bocca e mise il collirio negli occhi, la fantasia irritata se ne andò restai solo ad aspettare il medico. Non sono ammalato volevo urlare solo momentaneamente incosciente. Datemi cinque minuti e spiegherò tutto, lasciami cinque minuti e ti spiegherò che solo qui posso guarire. Mi capì, la tua penna solo lei ti può guarire.