Ma cosa ci porta a scrivere?

Ma cosa ci porta a scrivere?

Spesso il piacere di scrivere ho incontrato…
Versarsi sulla bocca un libro, assaporare le pagine ruvide con le dita, gustare il profumo dell’inchiostro, godere le immagini illustrate a mano, palpare il suono delle pagine che scorrono. Ma cosa porta ostinatamente medici, avvocati, impiegati di banche e casalinghe frustrate a scrivere? E perché ci piace così tanto? In fondo, ormai, con la tecnologia, basta un cinguettio su Tweetter, un post su Facebook, un SMS su What’s app  e…voilà, in pochi minuti possiamo raggiungere il mondo, con i suoi quattro cantoni. Eppure continuiamo a scrivere, indefessamente.  E’ forse per la voglia di notorietà o per la speranza di un buon guadagno?  La scrittura a tempo pieno è un mestiere così poco remunerativo, che bisogna essere dei “fuori di testa” per pensare a essa come a un lavoro. E allora come mai anonimi pensionati o inesperti professionisti decidono di consegnare alle stampe di editori alla ricerca di polli da spennare racconti o autobiografie? E che senso hanno le scuole di scrittura quando poi i nostri figli ci liquidano con lapidari TVTB o faccine che ridono, arrabbiate o con occhi languidi?  Si scrive, perché scrivere è, innanzitutto, un piacere egoista, un bisogno fisiologico, che arreca la soddisfazione dell’assetato nel deserto di fronte a un’oasi.  Scrivere è come esplorare una terra ignota.  Lo scrittore non sa cosa lo aspetta ma è curioso, vive con entusiasmo  il momento in cui avanzerà per quella landa ignota, preso da trepidazione e stupore.  Poco importa se la sua storia appassionerà altri esseri umani o se, novello Robinson Crusoe, dovrà avanzare solitario per quelle terre da scoprire. E allora cari amici e lettori, cosa aspettate? Preparate zaino e scarponi, prendete quaderno e matita e partite per il viaggio più affascinante: la  scoperta di voi stessi.
Buona scrittura a tutti,

Elena Cerutti

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